Una cartolina da New York


Di Alessandro Marcoli



Dopo un periodo passato presso Caritas Ticino a svolgere il Servizio Civile, Alessandro Marcoli è partito per un soggiorno a New York. Dalla realtà di Caritas Ticino ai grattacieli di Manhattan, un’occasione per riflettere sulla nostra identità di ticinesi. Semplice o povera che sia,  se perdiamo la nostra memoria storica, il mito americano, affascinate e colorito, si impone come una nuova e attraente cultura. Pippo e Topolino diventano personaggi reali, San Francesco una simpatica leggenda, quasi un fumetto.

 

Ho trascorso qualche mese a New York e, al mio ritorno, un collaboratore di Caritas Ticino mi ha proposto di scrivere un articolo su questa esperienza americana. Ho accettato con piacere ma, appena presi carta e penna (si fa per dire), mi sono reso conto che l’idea di raccontare l’America dopo qualche mese trascorso nella sola New York, è un’impresa ardua.

Jack Kerouac scriveva che l’America è quel pezzo di terra che sta fra New York e San Francisco. Intendeva dire che lo spirito americano non è da cercare sulle spiagge di Santa Cruz o nei grattacieli di Manhattan, ma nei quattromila e più chilometri che stanno fra di loro.

In fondo lo stesso discorso è applicabile alla Svizzera. Se volessimo mostrare ad un turista le cose più belle del nostro paese lo porteremmo ai piedi del Cervino o sulle rive di un lago ticinese, ma se egli ci chiedesse di respirare lo spirito svizzero allora sarebbe opportuno visitare Lauperswil o Bürglen, al massimo Lurengo, non certo Ginevra o Zurigo.

Detto questo, e salutando la mia amica Betta che è nata proprio a Bürglen ma sta guarendo, eccovi qualche ricordo del mio autunno americano, quello che verrà ricordato (o dimenticato?) per le elezioni presidenziali. Elezioni che sarebbero da considerare una comica se non fosse che si trattava di eleggere il Presidente degli Stati Uniti, non quello di Disneyland.

 

Trovare il tempo di riflettere

Nel suo primo discorso da Presidente, George W. Bush ha chiesto agli americani di pregare per lui, per la sua famiglia, per quella dello sconfitto e per gli Stati Uniti d’America. Speriamo che, fra una preghiera e l’altra, in questi quattro anni gli americani trovino anche il tempo di riflettere. Riflettere sulla loro politica estera, che usa l’arma del ricatto con i paesi ricchi e quella della sottomissione con i paesi poveri e riflettere anche sull’assurda convivenza, nelle leggi nazionali, fra moralismo becero da una parte e libertà dei costumi dall’altra.

Un giorno una graziosa signora plurilaureata ha cercato di convincermi che i Santi della religione cristiana non sono delle persone realmente esistite, ma delle icone, degli esempi ai quali i credenti devono ispirarsi. Ho concluso, con troppa leggerezza, che mi trovavo immerso in un popolo di ignoranti. Qualche giorno dopo però ho visto lo stupore dipingersi sul volto di uno studente universitario italiano scopertine/coprendo che Belgio e Olanda non sono la stessa nazione. Le vie del Signore sono infinite, ma a volte è difficile individuarle.

Ad inizio dicembre si sono ricordati i vent’anni dalla morte di John Lennon. Proprio davanti al luogo dell’omicidio si sono riunite molte persone, di ogni razza e di ogni estrazione sociale, a cantare, a ballare, ad accendere candele e a ricordare. Poi, come tutte le sere all’una dopo mezzanotte, tutti a nanna. Central Park chiude. La polizia, su ordine del sindaco Rudolph Giuliani, ha sgomberato il parco. Le regole sono regole, ha pensato Giuliani, non si fanno eccezioni, nemmeno per i sogni.

 

Pregare sottovoce

Una domenica ho partecipato ad una messa nella mitica Harlem e per un attimo ho creduto che tutto il mondo finisse lì. Il predicatore assomigliava ad un presentatore televisivo, ma non a quello di un telegiornale, piuttosto ad un urlatore durante una partita di baseball o in una televendita. Per quanto credo che non si debba mai giudicare le manifestazioni di fede, qualunque esse siano, ad Harlem ho sentito molta voglia di esternare e poca propensione alla meditazione. Però che fede gioiosa, che allegria. E pensare che il parroco della mia infanzia mi diceva che pregare ad alta voce è quasi un peccato perché Dio, che ha orecchie sensibili, ascolta soprattutto chi prega con modestia, sottovoce.

 

Cose più o meno morali

Nello Stato di New York è vietato il gioco d’azzardo. Nella loro morale gli americani hanno deciso che ci sono sport sui quali si può scommettere ed altri, meno redditizzi, che sono dannosi per la salute. Così quelli che come me una puntatina ogni tanto non la disdegnano, devono andare ad Atlantic City dove rovinarsi alla roulette è consentito. Quella sera c’era addirittura un concerto di Pavarotti alla bazzeccola di qualche centinaio di franchi per biglietto. Ho deciso di preferire il gioco a Leoncavallo e la sorte m’ha dato ragione. All’uscita dal casinò ho visto molte persone precipitarsi in alcuni dei numerosi locali notturni con dei sacchetti in mano. Ho chiesto cosa stessero facendo e m’è stato spiegato che, sempre perché ci sono cose inspiegabilmente più o meno morali di altre, in questi locali non si vendono alcolici. E però consentito comprarli nel negozio di fianco e poi consumarli all’interno ammirando, si fa per dire, un discutibilissimo spogliarello.

 

Siamo americani al contrario

Ho raccontato qualche ricordo dal cosiddetto paese delle libertà che, piaccia o no, sta facendo la storia del mondo. Discutendo con un amico americano del fatto che, ai nostri occhi di europei (sic), loro sono un popolo senza storia, mi sono sentito rispondere che è solo una questione di tempo e che, mentre noi viviamo sui ricordi della storia che abbiamo fatto, loro la storia la stanno scrivendo (e non solo la loro, ma anche la nostra). Questo m’ha fatto riflettere. Si perché alla fine avere alle spalle secoli di storia e di cultura ma non saperne nulla o ignorandone ogni insegnamento è, se possibile, peggio di non averne affatto. Ma allora siamo degli americani al contrario, mi sono detto. E se domani sbarcasse in Europa un certo Christopher Dove comprando le nostre terre e pagandole  in Coca-Cola e hamburger, vuoi vedere che la parte degli indiani rinchiusi nelle riserve la faremo proprio noi svizzeri?